A meno di una settimana dall’udienza cruciale prevista davanti al Tar Campania mercoledì 5 novembre, si intensifica il dibattito tra le istituzioni locali e il Ministero della Salute riguardo alla delicata situazione del Punto nascita di Sapri. Questa struttura, che riveste un’importanza fondamentale per la comunità del basso Cilento, sta vivendo un momento di grande incertezza. Il documento recentemente emerso durante il sit-in organizzato davanti al Comune di Sapri ha ulteriormente complicato la situazione. Il Punto nascita, attualmente riaperto da un provvedimento giudiziario, è stato oggetto di un ricorso presentato da 15 amministrazioni comunali del Cilento. Questi enti hanno deciso di unire le forze per difendere il diritto alla salute dei propri cittadini, a fronte di decisioni che minerebbero la sicurezza e l’accessibilità ai servizi materno-infantili nella loro area. La protesta, dunque, non è soltanto una reazione all’attuale stato delle cose ma è anche una manifestazione di preoccupazione per il futuro della salute delle donne in gravidanza e dei neonati.
Il documento del Ministero, firmato dal direttore generale Walter Bergamaschi, risponde in modo chiaro all’Avvocatura Distrettuale di Napoli. In questo atto, il Ministero definisce «contraddittorio» e «opportunistico» il comportamento della Regione Campania, evidenziando una apparente incoerenza nella gestione della questione. Da un lato, la Regione ha decretato la chiusura del Punto nascita sulla base di parametri di sicurezza e qualità del servizio; dall’altro, nei momenti successivi, ha richiesto il mantenimento della struttura in deroga, cercando di trovare soluzioni per evitare un vuoto assistenziale nel territorio. Un elemento cruciale sollevato dal Ministero riguarda i presupposti per il riconoscimento della deroga richiesta dalla Regione Campania. Secondo quanto riportato nel documento, non vi sarebbero state variazioni rispetto al 2018 che giustificherebbero un cambiamento nello stato del disagio orografico del territorio. Questo tipo di disagio, in particolare, non è mai stato ufficialmente riconosciuto dal Comitato Punti Nascita Nazionale, che ha la responsabilità di valutare le condizioni in cui operano queste strutture. La mancanza di questo riconoscimento gioca un ruolo fondamentale nelle decisioni riguardanti il mantenimento o la chiusura dei punti nascita in zone geograficamente svantaggiate.
Un altro aspetto critico riguarda il parametro dei 500 parti all’anno, che è considerato uno standard minimo per la sostenibilità economica e qualitativa del servizio. Secondo il Ministero, le deroghe a questo limite sono consentite solo in circostanze eccezionali e non possono diventare una prassi per mantenere aperti punti nascita sottosoglia. La Regione Campania, tuttavia, sembra avere l’intenzione di mantenere aperta la quasi totalità delle strutture che non raggiungono questo standard, alimentando tensioni e dibattiti a livello istituzionale e tra la popolazione. In attesa dell’udienza, il parere ministeriale ha già suscitato reazioni forti e preoccupazioni nella cittadinanza. I residenti del basso Cilento avvertono l’esigenza di vedere garantito un servizio che, a loro avviso, è vitale. La possibilità di partorire in sicurezza nelle strutture locali è una priorità per molte famiglie, che temono i gravi disagi e i rischi legati a trasferimenti lunghi e pericolosi verso altre strutture sanitarie, spesso lontane e difficilmente raggiungibili.
La piazza di Sapri, quindi, si fa portavoce di un sentimento collettivo, esprimendo una necessità ineludibile: quella di garantire un’assistenza sanitaria adeguata e accessibile. Le future madri potrebbero trovarsi in situazioni di emergenza, e la chiusura del Punto nascita non solo comprometterebbe il diritto alla salute, ma potrebbe anche mettere a rischio vite umane. Le questioni poste dal Ministero e le risposte della Regione Campania meritano di essere analizzate con attenzione e la massima serietà. Il futuro del Punto nascita di Sapri non riguarda solo un semplice servizio sanitario, ma si intreccia con temi più ampi come la salute pubblica, la valorizzazione delle aree interne e il diritto all’accesso a cure adeguate.



