A “Muzzarella co a’ Mortedda” è parte di una antica tradizione cilentana, dettata dall’esigenza, da parte di antichi pastori, di trasportare il formaggio dalle montagne, dove nei periodi di bella stagione, si portavano a pascolare gli animali, alla pianura e destinarli poi alla vendita o alla consumazione personale. Novi Velia, alle pendici del Monte Gelbison era ed è l’area maggiormente caratterizzata da questi eventi e si può tranquillamente dire che, questo tipico prodotto Cilentano, diventato PAT (prodotto agroalimentare tradizionale) , ha casa in quei luoghi. Erano tempi, in cui non esistevano frigoriferi o impacchettatrici sterili , ma i nostri pastori sapevano bene quali erano le ricche risorse del territorio e affidandosi al loro ingegno pensarono di avvolgere la mozzarella, nei rametti e nelle foglie di un alberello sempreverde, “a mortella” – il mirto – che nasce spontaneo e rigoglioso sia nel sottobosco delle faggete che negli anfratti della macchia mediterranea. Ne erano certi, conoscendone le proprietà aromatiche e officinali poiché usate spesso, in quei periodi lontano da casa, come decotti, antiinfiammatori, astringenti o come antisettico, questi arbusti con le loro larghe foglie sarebbero state un ottimo “sigillo” di freschezza e conservazione ma anche un imballaggio robusto, efficace ed aromatico poiché, la mortella, regala alla mozzarella aromi e profumi unici.
Piccoli tesori che solo gli occhi ed il cuore di un pastore riescono a vedere e percepire. Parlando con uno dei tanti ed ormai anziani pastori della mia terra, a proposito della loro, naturale quanto profonda conoscenza, mi raccontava di come essi sapevano distinguere, dalle impronte lasciate da una mucca, il suo stato di salute, se era giovane o vecchia, se era una mucca da latte oppure no, se correva o pascolava lentamente, con la pratica andatura a zig zag in cerca delle migliori erbe. Di come alla sera gli animali, prima di coricarsi, cercano un posto per dormire; si girano due tre volte su se stesse, fiutavano l’aria, cercando di percepire il tempo, in modo tale da ripararsi e mettersi contro vento. E di come era una festa, la partenza per la transumanza; incominciava già il giorno prima – mi racconta – andavamo a letto presto, perché il giorno dopo di buon mattino, all’alba bisognava essere pronti per portare le bestie in altura. Quasi all’improvviso tutto il paese si riempiva di voci, di richiami di porta in porta, si formavano vari gruppi e nell’aria frizzante del mattino, si levava verso il cielo una sinfonia di campanacci in segno di gioia.
Si partiva, – continua – le mucche più anziane conoscevano già la strada, sapevano che le avrebbe aspettate una giornata faticosa, con un lungo cammino, ma sono sicuro che l’affrontavano con tanta felicità dentro, perché ritornavano ai vecchi pascoli, dove c’era l’erba e l’acqua migliore, quelle giovani affrontavano con stupore ed impazienza quel lungo viaggio pieno di novità ed imprevisti. Una volta raggiunti il pascolo, erano le piccole cose, le cose semplici che ci facevano felici come la creazione di formaggi, diventati poi emblema di un territorio come, appunto, la “Muzzarella co a’ Mortedda”, formaggio a pasta filata ottenuto dalla trasformazione del latte di vacche Podoliche o di incroci da Podoliche.
Ma quale era la metodologia di caseificazione, che è rimasto inalterato nel tempo se non fosse altro per alcuni piccoli accorgimenti tecnici, di questo curioso quanto squisito prodotto tipico Cilentano? C’è lo descrive un articolo della fondazione SlowFood (fondazioneslowfood.com). Il metodo è quello classico della mozzarella, ma la maturazione della cagliata avviene in assenza, o quasi, di siero. Il risultato è un formaggio più asciutto e compatto, dalla forma allungata, piatta e irregolare (come una stracciata) e dalla pasta bianca. Rispetto alle comuni mozzarelle, l’acidità in bocca è leggermente più pronunciata.
E si avvertono netti i sentori d’erba verde e talora di cedro e di limone.
Tuttavia questi sentori non derivano tutti dal mirto: i pascoli del Basso Cilento sono costituiti alle quote più alte da essenze erbacee del sottobosco delle faggete e del castagneto. Sono queste erbe a conferire alla mozzarella nel mirto le caratteristiche aromatiche più significative. Questa mozzarella non si presta a usi gastronomici: non è pensabile, ad esempio, condire pizze o calzoni con pezzi di questo formaggio. Troppo aromatico e troppo prezioso. È un formaggio da tavola, molto indicato come antipasto, servito con olive, pomodori, sottoli, condito con extravergine e magari un poco di origano. Al limite può conferire un tocco vagamente esotico a un timballo o a una pasta casereccia. Ma alla fin fine è meglio degustarla da sola, accompagnandola con un buon vino bianco del Cilento.