Per chi come me, era ragazzino negli anni settanta, le festività Pasquali erano assai più importanti di quelle Natalizie, certamente non per il contesto religioso, ne tanto meno per quello consumistico, bensì essenzialmente pratico; si avvicinava la Primavera e con essa si poteva tornare a vivere per strada.
Infatti, questa è forse una delle poche festività Cristiane che non ha una data fissa, potendo essere “alta” o “ bassa”, distinzione che per noi bambini non era semplice da decifrare, perciò eravamo attentissimi a riconoscere quei segnali che ci rivelavano il suo approssimarsi.
Il primo di questi, era la visita a scuola del parroco, l’amatissimo Don Franco, che ci parlava di fine della Quaresima e di ritorno alla vita, ma quello che a noi interessava maggiormente era l’appuntamento che ci avrebbe poi dato in Sacrestia per scegliere quelli di noi, che lo avrebbero accompagnato nella visita ai parrocchiani per la benedizioni delle case. Non era esattamente lo spirito cristiano che ci spingeva ad anelare a quell’incarico, ma una molto più terrena voglia di dolciumi e caramelle che chi ci avrebbe “ospitato” non ci avrebbe fatto mancare.
Il rito della benedizione delle case, era al tempo molto sentito dalla popolazione, che aspettava con devozione questo momento, si faceva entrare il prete con i paramenti sacri, seguito dal codazzo di chierichetti, vestiti di bianco, questi pronunciava la formula di rito, e poi spargeva l’acqua benedetta, mentre gli abitanti della casa pregavano in ginocchio. Alla fine della cerimonia, la padrona di casa donava quello che poteva. Il frutto di questa questua, veniva alla fine della giornata distribuito fra noi.
La Pasqua era per noi ragazzi un traguardo importante, perché si avvicinava la fine della scuola, ponendo fine a quella che, molti di noi, giudicavano una sorta di reclusione, avendo vissuto, per la maggior parte della nostra giovane vita, nei boschi, e nei campi, magari tra mille privazioni, ma completamente padroni di noi stessi. Naturalmente le prime Pasquette che mi ricordo sono le più dolci, le più affabili. Proprio come il primo amore che non si scorda mai. Obiettivo i boschi o le valli che costeggiavano il Monte della Stella o piccoli rigagnoli poco più giù a valle. Ingrediente indispensabile il sole. C’era sempre o perlomeno questo è ciò che mi ricordo. Non usavamo l’auto, d’altronde eravamo adolescenti – poi l’avremmo usata con il passare degli anni, dunque aspettavo con trepidazione l’arrivo degli amici. Aspettavo appollaiato sul balcone. Sarebbero arrivati verso le 10,30. Al più tardi le 11, io, ero già lì alle 9, dopo abbondante colazione ed una notte trascorsa nel fantasticare storie improbabili con annesse avventure improbabili dove, ovviamente io ero il capo dei buoni contro i soprusi dei cattivi.
I compiti erano così suddivisi. Qualcuno, avrebbe pensato al vino e alla scelta del luogo, le poche, anzi sparute donne , alcune “deboli” in cucina, avrebbero pensato a portare qualche fetta di pastiera meglio se quella di pasta, ma come tutte le scampagnate che si rispettino, sapevo già che avremmo mangiato pochissimo solo un assaggio. La parte culinaria era il 50%, il resto era la compagnia. Più tavoli che avrebbero composto una tavolata unica. Un po’ sbilenca e posticcia, ma dava il senso dell’insieme. Grande libertà e grande spensieratezza. Normali storie di persone normali. Piccole storie riaccese da qualche fotografia in bianco e nero trovata nel fondo di un cassetto dimenticato.
Foto che riaccendono memorie riposte nella nostra mente. Oggi più che mai. Oggi costretti nello stare a casa e alla ricerca di un tempo che c’è stato. Il sole, quello si è , quasi, immutabile nel tempo. Nel ricordo, nella memoria, e nelle speranze di ieri e di oggi. Non ci arrendiamo, non è nella nostra indole, né nelle nostre possibilità. Convinti che il prossimo anno riprenderemo nel fare pic nic sui prati. Del resto se era un classico allora, sarà un classico domani. Poi che sarà mai saltare un turno, anzi due? Il sole, il ricordo, queste piccole storie, queste piccole memorie ci servono per avere altre piccole storie e piccole memorie. Anzi, direi ci danno linfa vitale per superare questo momentaccio. Ancora una volta ce la faremo!