Azzerpulùto: aggettivo del dialetto cilentano, o anche avverbio di modo, che si potrebbe ipotizzare traducibile come participio passato del verbo “asserpolarsi”.
Nello specifico contesto cilentano, “azzerpulùto” è soprattutto colui che assuma fisicamente una posizione che lo protegga dai rigori del freddo e che contragga le membra, le spalle, e il corpo in genere, o che provi, contraendosi, a rifugiarsi del tutto in un cappotto o nell’abbigliamento inidoneo, nel tentativo di limitare la esposizione all’aria gelida (Esempi: “Scuntài a Zi Pèppo tutto azzerpulùto indo u cippappà ca se ‘nge chiatràva”).
Per estensione, indica una persona che nell’aspetto paia aver conservato la stessa contrazione che si usi per proteggersi dal freddo anche quando non ne faccia. “Azzerpulùto”, quindi, è lo smilzo, il gracile, o anche una persona dimessa, umile, talmente discreta da proiettare anche nel fisico un’attitudine a serrarsi, a farsi piccolo, onde passare inosservato.
Per quanto riguarda l’etimo, potrebbe essere la stessa dell’italiano “asserpolarsi”, ossia “attorcigliarsi, avvolgersi come una serpe” (dal latino serpŭla ‘piccola serpe, biscia’, col prefisso a-).
Nel “Fu Mattia Pascal”, Pirandello usa “asserpolarsi” in questo contesto: ” … presso l’uscio della mia camera, trovai quasi asserpolato su un baule un giovane smilzo” ( … “nnànti la bùssola r’a càmera mia truvài mièzzo azzerpulùto nu uàglione sicco sìcco”).
Nell’indagine dentro la parola si può anche dedurre una derivazione da “zirpuli”, i puntini da pelle d’oca che compaiono sulla pelle o per freddo o per brividi di paura.
L’ “Azzerpulùto” nel dialetto del Cilento
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