Tócco: sostantivo maschile singolare del dialetto cilentano. Non è traducibile con una trasposizione letterale in lingua italiana, almeno nel significato con il quale è utilizzato.
“Tócco” è una condizione umana degenerata a causa di un colpo improvviso, anzi fulmineo, provocato da una notizia o dalla presa d’atto di una situazione inattesa e tale da provocare immediatamente una alterazione delle funzioni cerebrali e motorie, una paralisi insomma, che blocca la lingua e induce ad una condizione di catalessi.
In termini medici, potrebbe indicare una “apoplessi”. Si usa in espressioni del tipo “Quànno sapètte ca la muglière aspèttava tre gemelli, re venètte nu tócco!”, associato ai verbi, in forma riflessiva, “venè”, “piglià”.
In vero, in un vecchio documento d’archivio, mi par ricordare che il redattore avesse scritto che un tale era “morto di tócco”, il che fa pensare che il vocabolo comprendesse anche alterazioni di intensità letale (da “rimanerci” insomma) e non solo momentanee.
Per quanto riguarda l’etimo, credo sia d’obbligo indagare nel verbo “toccàre” e nei suoi vari significati. Vero che il toscano conosce il termine “tócco” che è, però, aggettivo col significato di “tonto” o “stupido” e indica una qualità permanente della persona. Nella parlata cilentana, invece, “tócco” è sostantivo e si riferisce ad una condizione di salute “toccata” e, quindi, mutata, alterata, e caratterizzata dalla fulmineità dell’apparire, inatteso e devastante.
Secondo una soggettiva opinione (del tutto personale), la parola penso che sia stata associata al tocco di campana per la sua capacità di incidere, con la forza e la violenza di una vibrazione sonora e deflagrante, del tutto inattesa, su uno stato d’animo fino a turbarlo, o provocare un “exitus”, con una forza contigua a un destino.