Basterebbe solo guardarsi attorno, osservare le colline del Cilento, o passeggiare all’aria aperta per scoprire un paesaggio, a volte selvaggio e incontaminato, in parte colorato dal verde degli ulivi. Le olive maturano e per noi cilentani, la loro raccolta è un’attività normale, ma altrettanto straordinaria, che fa parte della tradizione. È un rituale che si ripete annualmente, che ha bisogno di tanta cura e pazienza. La pianta d’ulivo, da millenni è stata associata all’idea del divino, della pace e dell’immortalità e non è un caso che alcuni rametti di ulivo siano stati ritrovati nelle tombe egizie di 4000 anni fa. L’ulivo ha infatti una particolarità unica che non tutti conoscono: nel caso in cui il fusto centrale muoia, la pianta ha la capacità di riprodursi dal colletto, alla base del tronco, si ipotizza che alcune piante ancora oggi presenti, soprattutto in Palestina, abbiano un’età di duemila anni.
Siamo ormai quasi giunti alla fine della stagione, ottobre e novembre ed alle volte fin sotto le feste natalizie, corrispondono ai mesi di raccolta, ultimo impegno richiesto alla nostra campagna prima del meritato riposo invernale. È un momento tanto atteso perché sancisce la fine del lavoro “nella terra” e permette di godere fin da subito dei suoi frutti senza dover aspettare, in alcuni casi, qualche anno come accade invece nel caso del vino. Per questo motivo chi ha anche un piccolo appezzamento, anche con poche piante si prepara con dedizione ed impegno, accertandosi che ogni rete per la raccolta ed ogni scala siano in buone condizioni e fissando già in anticipo il proprio turno al miglior frantoio della zona.
Rispetto al passato sono cambiati i metodi o gli strumenti di raccolta, ma le emozioni provate rimangono le stesse di allora, a testimonianza di un lavoro fra i più umili ma nello stesso tempo fra i più nobili. Era ed è un lavoro umile, perché ti fa sentire davvero piccolino, lassù in cima alla scala, a cercare un precario equilibrio fra i rami della pianta per non rinunciare a raccogliere anche quell’ultima oliva più lontana.
E’ umile perché non hai animo di lasciare per terra quelle olive che non sono entrate nella rete; allora ti metti in ginocchio e, una ad una, spostandoti lentamente, le depositi nelle cestelle di vimini intrecciate dalle mani esperte dei nostri nonni. Nello stesso tempo è nobile per quel tanto di nobile che esiste nel rapporto d’amore fra il buon agricoltore e la sua terra.
Oggi la raccolta delle olive è facilitata dall’ausilio di macchine specifiche che, scuotendo i rami colmi aiutano a far cadere le olive più alte all’interno della rete posta in basso. Sicuramente però non è cambiato lo spirito festoso della raccolta così come l’attesa al frantoio caratterizzata dall’ansia e la curiosità di conoscere i risultati delle proprie fatiche. Fatica, curiosità e gioia erano le stesse sensazioni provate anche dai nostri nonni, quando, oltre mezzo secolo fa, erano impegnati nella raccolta insieme a tutta il nucleo familiare, poiché, l’olio era (E’) considerato a tutti gli effetti una grande ricchezza per le famiglie.
Quei momenti univano la gioia al grande spirito sociale che faceva da collante fra lavoratori e li faceva affrontare meglio la fatica del momento. All’epoca la raccolta avveniva alla fine di novembre e nel mese di dicembre, più tardi quindi rispetto ad ora, ed essendo una raccolta completamente a mano, spesso si prolungava, come scrivevo, anche nel periodo delle feste natalizie. Non erano ancora state inventate le moderne reti per la raccolta, si usava raccoglierle per terra senza nessun ausilio se non una pulitura poco approfondita del fondo; il frutto era “accarezzato” dalle mani sapienti delle donne chiamate alla raccolta e ad una ad una depositato in cestelle costruite dagli stessi contadini intrecciando vimini, albumi di castagno, canne o rami fini di olivo, attorno ad un telaio creato intorno a un pezzo di legno robusto e da lì riversate in sacchi di iuta.
Maniacale era invece la manutenzione delle scale di legno, per l’arrampicata ai rami più insidiosi, realizzate anch’esse a mano. La raccolta delle olive cadute sul terreno o tra l’erba era un lavoro molto scomodo e da persone pazienti delegato alle donne e i più giovani. Gli uomini, invece raccoglievano appollaiati sui rami e sulle scale di legno stando in equilibrio sui pioli, prendendo con la mano sinistra un rametto, con la destra lo strisciavano in modo da farne cadere i frutti nella cesta legata alla cintola dei pantaloni o con una corda girata intorno alla vita; lavoro di raccolta che poteva durare anche diversi giorni.
Lo scambio di aiuto reciproco nei lavori tra le famiglie contadine, anche in questo caso, rappresentava uno dei più importanti aspetti sociali , non mancava, in quei giorni, il momento di socialità e del convivio per le squadre di lavoratori e le loro famiglie. Lavoro incessante fino al calar del sole, poi a dorso di asini o di carretti si tornava a casa non prima però di aver disteso, nel casolare del podere o nella stalla vicina, sopra delle stuoie di canna le olive, creando così quello che veniva comunemente chiamato “spasa”, affinché queste non si riscaldassero in attesa di essere poi trasportate al frantoio. Quante fatiche dovevano sopportare prima di poter assaggiare il frutto del loro lavoro! Il viaggio che poi avrebbero intrapreso le olive dalla campagna al frantoio sarà un viaggio della speranza, la speranza del contadino che il raccolto dell’anno sia andato bene e che la resa sia migliore dell’anno precedente.
“o’Trappito”(Frantoio), luogo ed atto finale di questa immane fatica. Luoghi che tutto ad un tratto si riempiono di rumori, voci e suoni, notte e giorno, ininterrottamente, per tutto il periodo della raccolta. Sono giorni molto intensi, giorni di molto lavoro, le olive da macinare sono tante e non c’è tempo di riposare o, altrimenti, si corre il rischio che esse si possano deteriorare con la conseguente distruzione del duro lavoro di un anno. Il frantoio di ogni paese può essere definito come un punto d’incontro. A suo modo è un caratteristico centro di trasmissione e di scambio di sapere ed esperienze. Un luogo di divulgazione di usi, storie e tradizioni locali. È al frantoio che si imparano e tramandano i segreti di una buona coltivazione, è al frantoio che si ricordano i tempi passati, ma soprattutto è al frantoio che bisogna recarsi se si vuole comprendere a pieno il significato dell’olio per la gente di paese: l’olio come ricchezza familiare, il bene prezioso da conservare fino all’ultima goccia. E lo si intuisce dai gesti, dall’occhio attento del contadino con cui segue il processo di oleificazione.
La meccanizzazione ha, indubbiamente, prodotto, una riduzione dei tempi di produzione ed una maggiore efficienza di estrazione, rappresentando un’evoluzione del tradizionale frantoio. Però si è certi di un aspetto fondamentale nei moderni frantoi, quelli delle macchine, non si respira più l’atmosfera di un tempo. Non ci sono più le frenetiche attività, gli odori, l’animazione, l’allegra brigata degli operai degli antichi frantoi.
Né il fuoco accesso per abbrustolire il pane che veniva condito con l’olio novello per un assaggio immediato. Ora si aspetta l’olio nuovo stando seduti, come in un salotto poco accogliente, magari in silenzio, ascoltando il funzionamento assordante dei macchinari. La produzione dell’olio è diventata una sorta di rito segreto, tutto svolto dentro la pancia delle macchine. Ad esse si consegnano le olive raccolte con cura. Al contadino, abituato alla tradizionale festa al vecchio frantoio, rimane solo la possibilità di scrutare l’amalgamarsi della pasta delle olive macinate e poi, alla fine, il fluire dell’olio nei bidoni di acciaio ulteriore “sfregio” alla fatica rispetto a quando veniva conservato per l’annata in grandi orci di terracotta, tutt’ora usati ma come fioriere!