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Piccole variazioni sul tema “Sagra”

E’ il periodo giusto, il momento appropriato per poter attirare nella rete della Sagra il turista di passaggio che con la scusa di assaggiare il prodotto tipico locale, fa capolino nel paese di turno per deliziare, credo – spero, non solo il suo palato ma anche la sua cultura ed ampliare la sua conoscenza delle meraviglie offerte dai paesi ospitanti del Parco Nazionale del Cilento – Vallo di Diano – Alburni.

In questo periodo, non c’è praticamente prodotto che non dia il nome ad una sagra, ad una festa, ad un festival. Ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti. Nulla sfugge agli organizzatori di sagre e a quanti accorrono numerosi. Se qualcuno volesse prendere parte a tutte, nel giro di un paio di mesi potrebbe tranquillamente raggiungere i 100 chili. E c’è chi lo fa, chi non se ne perde una.

Il fare turismo cerca nelle sagre la propria salvezza? Non c’è rimasto altro?

Non si va tanto per il sottile, non si bada tanto alle norme, ai regolamenti, agli obblighi e alle prescrizioni, anche igienico-ambientali. Non c’è pro-loco che non cerchi di rimpinguare le proprie casse, quelle degli imprenditori e degli esercenti che sperano di poter incassare in pochi giorni quello che solitamente incassano in un paio di mesi. Ovviamente non ho nulla contro le sagre. Penso che in fondo, la vetrina eno-gastronomica possa essere un forte richiamo per i turisti. Però…. I miei “però” sono tanti, specifici e generici. 

Tra quelli specifici, alcuni, come mi sono accorto, sono condivisi anche da alcuni addetti al settore. Ancora oggi, infatti, gli eventi eno-gastronomici proposti nel territorio sono spesso frammentari e a vantaggio di singole realtà associative, incapaci da sole di partorire iniziative che possano valorizzare tradizione e professionalità locali. C’è poi da dire che il concetto di “sagra” ha, per definizione e per significato, connotazioni e valenze storiche e culturali che sono state perdute del tutto ormai da tempo.

Si pensi che il termine ha origine latina e deriva dall’aggettivo sacrum (“sacro). Infatti la sagra si connotava inizialmente innanzitutto per la dimensione religiosa, essendo legata alla festività del santo patrono o richiamando le feste popolari dell’antichità, che venivano celebrate davanti ai templi o, in epoca cristiana, davanti alle chiese.  Le sagre, inoltre, si relazionavano con i vari momenti dell’anno (l’inverno, la primavera, la mietitura, la vendemmia). In abbinamento alle feste religiose erano anche il mezzo per ringraziare la divinità (realizzando dei momenti di comunione tra uomini e sacro) o per propiziarsi la bella stagione.  Adesso le sagre si svolgono quasi tutte nel periodo estivo, in un lasso di tempo che non supera i 20 giorni, senza alcun legame con la stagionalità, tantomeno con quella dei prodotti. Il loro unico obiettivo è di richiamare il maggior numero di persone, in una grande confusione, con poche o addirittura assenti, valenze culturali.

D’altro canto, la maggior parte di chi partecipa non hanno altro fine: quello di ingozzarsi. Poca qualità, molta quantità.

E qui c’è un altro mio “però”, grosso come una casa. Non solo la sagra non viene più vista come un momento di aggregazione sociale, non viene più organizzata nei giorni della festa patronale, ma i piatti e le specialità vengono offerti non, come dovrebbe essere, a prezzi minori rispetto alla consumazione in un locale chiuso, ma a prezzi maggiorati, approfittando della buona disposizione dei frequentatori  che non badano a spese. Tra i miei “però” generici, alcuni sono legati alle sagre davvero con un filo sottile, ma non da un collegamento forzato. Molto spesso in un paese, in un borgo, in una contrada, cercando bene, il viandante mangereccio potrebbe trovare qualcosa in più, di diverso dal solito mangia-mangia.

Penso a quanto  si faccia poco o nulla per segnalare al turista la presenza di un monumento, di un manufatto, di una tradizione, di un reperto storico o artistico. Penso a quanto sia facile che il frequentatore di sagre metta mano al portafogli, per acquistare nella calca, un piattino con quattro maccheroni arrotolati che molto spesso gli vengono fatti pagare più del proprio valore, solo perché fatti assaggiare nel contesto splendido del borgo ospitante che a volte può stordire.

Penso a quanto difficilmente quello stesso frequentatore di sagre entri in un museo o in una libreria e, una volta entrato, quanto faticosamente tiri fuori dalle tasche dieci euro per comperarne il biglietto o un libro. Ma comunque non faccio di tutta l’ erba un fascio. Conosco la realtà di alcune sagre locali che oltre a dar la possibilità di assaggiare il prodotto tipico/locale di turno, alimentano anche quella che è la storia del singolo paese.

Manifestazioni come la Sagra Campagnola di Valle di Sessa Cilento che ogni anno devolve il ricavato a quello che è il recupero di un pezzo di storia di questo piccolo borgo. Negli ultimi anni, il ricavato della Sagra è andato a rimpinguare il salvadanaio che poi rotto, servirà al recupero/restauro dell’antico Palazzo Altomare edificato nel 1536.

(QUI potete vedere alcune foto dal sito dell’Associazione – ProValle).

O come la sagra del “Cinghiale e Strangolaprievati ” di Santa Lucia, sempre di Sessa Cilento, qui gli organizzatori con gli ultimi entroiti hanno restaurato la piccola chiesetta del paese.(QUI alcune foto del restauro dal sito Santalucia.us) ,

Certo ve ne sono tante altre che tralasciano il mero guadagno per dare un senso alla loro fatica organizzativa ed ovviare alla carenza di amministrazioni locali assenti, quindi a loro, a questi caparbi organizzatori va il mio plauso …bene …bravi …bis, continuate così !

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