“Sparmà“, verbo del dialetto cilentano (qui nella sua forma tronca). “Sparmàre” sta per “desiderare”: “ah come sparmava ppe’ na muzzecata re pane e uòglio cu lu ppane frishco!”. “Sparmà” pare indicare più propriamente il desiderio forte ma insoddisfatto, o rimasto a lungo inappagato, e che per questa sua tensione si deposita nell’animo fino ad assumere una quiescenza attiva. Infatti, la memoria del desiderio di colui che “spàrma” si può facilmente riproporre anche a distanza di anni ogni qualvolta un odore o un sapore evochino le medesime situazioni.
Chi “spàrma” esprime spesso anche un desiderio inespresso, coltivato in segreto, di quelli che non si è capaci nemmeno di definire a sé stessi tanta è la convulsione che l’accompagna. Per esprimere compiutamente il senso della parola, si immaginino i desideri dei bambini, che sono ineffabili, senza parole, espressi il più delle volte solo con lo sguardo.
Non è raro sentire pronunciare questa parola con una enfasi vagamente esplosiva dove le prime due consonanti “sp” paiono evocare una forma di sparo e dove la “erre” accentua una crudezza di tono. Ebbene, anche nella forza della pronuncia si esprimono una forza di tensione, un desiderio che pare accompagnarsi ad una contorsione, ad uno spasmo alimentati da una energia da mancanza.
Nelle espressioni che denotano un picco del desiderio particolarmente acuto, non è raro sentire pronunciare questo verbo in modo “mazzecato”, che è un modo in cui il parlante fa uno sforzo per trattenere una rabbia e dove le parole paiono clandestine, un poco confessate, e un poco liberatorie, quasi che con quel dire a mezza bocca ci si volesse liberare da un’ansia o come se quel dibattersi dell’animo fosse tale da non far trattenere le parole stesse.
Nella società e nella cultura materiale del Cilento, caratterizzate da una secolare condizione di povertà e di penuria di alimenti, il desiderio era frequente nell’agognare il cibo stesso: “e come ‘nge sparmàvamo ppe’ nu piezzo re lardo o ddoie fico mbaccàte”.
Nella descrizione di una disposizione d’animo, la condizione di chi “spàrma” è frequente nel descrivere l’invaghimento velleitario, l’innamoramento non corrisposto: “nge sparmàva tanto ppe chèra zòria ca senne iette vòjto a l’America ppè nu la verè cchiù nnanti a l’uocchi”.
Nella ricerca dell’etimo della parola, si può ipotizzare una derivazione dal greco antico «σπάίρω» o «άσπάίρω» (“spàiro” o “aspairo”) che indicano il presente della prima persona singolare del verbo “palpitare”, “agitarsi”, “dibattersi” . Il greco antico conosce anche il sostantivo “«σπάράγμά» (“sparagma”) che significa “spasmo”, “convulsione”, “dilaniamento”. che ben paiono rappresentare, plasticamente, il senso del desiderio.
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