Prima PaginaMemorieViaggio nella stazione della memoria. Omignano Scalo

Viaggio nella stazione della memoria. Omignano Scalo

Lo spunto per raccontarvi questa storia, mi viene dato da una vecchia foto che ritrae una “antica” stazione ferroviaria, pubblicata sul profilo facebook del Comune di Omignano, proveniente dall’archivio della Signora Menita Acciani che , gentilmente, ne ha concesso l’uso. Ma un ulteriore spunto, mi viene dato da un mio recente passaggio presso la Stazione di Omignano Scalo, da molti ritenuta, la stazione ferroviaria del Cilento antico, anche se, a pochi chilometri di distanza, ve ne è una più grande ed attrezzata , quella di Vallo della Lucania-Castelnuovo (Vallo Scalo).

Ma altre stazioni vi sono state, in un passato meno recente, anch’esse di grande utilità per il popolo Cilentano, come quella di Rutino, Torchiara, Casal Velino Scalo ed andando ancora più in là con gli anni, Ogliastro Cilento.
Era da qualche tempo che non mi addentravo nella sua ormai singola stanza, la ricordavo, sinceramente in tutt’altro stato, ma noto che l’ente Ferrovie dello Stato ha,  in un certo qual modo, saputo rivalorizzarla almeno nella parte esterna, anche se alcuni ammennicoli facenti parte dell’arredo, seppur scarno, sono stati divelti da chi non ha cura nemmeno, presumo, della sua integrità morale. Entrando nell’atrio ti accorgi subito della decadenza che ha subito negli ultimi anni è un po’ come rivedere una bella donna o un bell’uomo, dopo che l’hai conosciuta/o nel fiore degli anni, a quaranta  o cinquant’anni di distanza, quasi non lo/a riconosci, ti rendi conto di come il tempo passi per tutto e tutti.

Per l’essere umano ci sono pochi rimedi, l’invecchiamento e la fine sono, almeno per le conoscenze attuali, inevitabili, soldi o non soldi, volere o non volere, per un edificio, un servizio, una stazione ferroviaria nel caso specifico, non è la stessa cosa, volendolo si possono trovare i rimedi, restituire nuova giovinezza, nuovo “splendore” è possibile e qui, la volontà prima ed i soldi poi, possono sicuramente fare la differenza!

Archivio: Menita Acciani

Il piccolo paese di Omignano Scalo, storicamente tagliato in due fra due municipalità, quella di Omignano Capoluogo e quella di Salento, è nato intorno alla stazione, le sue attività sono nate e cresciute grazie anche alla stazione, ma non solo Omignano Scalo ne ha tratto indubbi vantaggi, i centri circostanti, tutti, da Orria, Gioi, Sessa Cilento a Perito, Omignano Capoluogo, Stella Cilento, fino a Pollica e così via, l’elenco è lungo, possono dire di esserne stati beneficiati.

Era il lontano 1989 ed io, per la prima volta, usavo quella stazione  che mi portava verso il mio primo lavoro. Inconsapevolmente, mi accingevo a frequentare persone che erano lontane anni luce da quelli che fino a qualche mese prima, prendendo l’autobus, avevo frequentato. No, nulla di trascendentale, che nessuno si offenda, il treno, con i suoi scompartimenti, dava la possibilità di una diversa convivialità fra persone, anche se sconosciute.  Ed era in questi piccoli salottini viaggianti che, ancor prima che io ne fossi un assiduo frequentatore,  per molti iniziava una nuova vita o il ritorno alla quotidiana routine, non piacevole per nessuno.
La memoria di quanti hanno superato gli “..anta” non può non andare alle scene che , soprattutto alla fine dei periodi coincidenti con le festività Natalizie e che poi si sarebbero ripetute alla fine dell’estate, in particolare nel mese di agosto, si presentavano ai nostri occhi all’interno della stazione. Ad attendere che fosse possibile prendere posto, vi erano, sin dalle prime ore, già numerosi viaggiatori, i quali non volevano correre il rischio di doversi fare il viaggio seduti sulle valigie o sdraiati nei corridoi, come spessissimo accadeva. Al primo imbrunire cominciavano ad arrivare, stipati in macchine di fortuna o di qualche familiare,  le tante persone che avrebbero viaggiato su quei treni. In poco tempo il piazzale antistante la stazione ed i marciapiedi del primo binario venivano invasi letteralmente da uomini e donne che trasportavano ogni tipo di bagaglio e molto spesso bambini. Si trattava quasi esclusivamente dei nostri emigranti  o militari di leva che avevano finito il loro periodo di ferie e dovevano rientrare in una delle tante fabbriche o caserme del nord Italia.

A volte c’erano interi nuclei famigliari con tanti bambini al seguito che, poverini, avrebbero dovuto attendere ore e ore prima di partire per il lungo viaggio, immaginabili i disagi, pianti e problemi vari. Più spesso però, erano solo gli uomini che partivano, ed in tal caso si assisteva a comprensibili pianti e abbracci che seguivano il distacco: perché il momento della partenza, con il treno, è diverso e più angosciante, per chi resta e chi parte, rispetto a qualsiasi altro mezzo di trasporto; persino dell’aereo. Nulla rende più triste quel momento, quando la partenza e l’allontanarsi del treno: con la mano fuori dal finestrino che ti saluta, spesso sventolando un fazzoletto, e mogli, madri, con i figli più piccoli in braccio, che dal marciapiede ricambiavano quel saluto tra le lacrime, mentre spiegavano ai bambini più piccini che il loro papà andava via per lavorare e garantire loro un futuro più sereno, e che presto sarebbe ritornato.

La destinazione, di molti,  come scrivevo, era per la maggior parte dei casi il nord Italia, dove giungevano il mattino seguente, ma per tanti il viaggio non finiva; altre carrozze e treni speciali li attendevano per proseguire verso la Svizzera, Francoforte, Monaco. La categoria di espresso, di quei treni, li rendeva, peraltro, molto popolari, per il costo contenuto rispetto a quelli di categoria superiore, e anche relativamente comodi perché vi erano le famose cuccette per poter riposare durante la lunga notte di viaggio. In realtà, di quelle cuccette, ve ne erano 4/6 per scomparto e, tra bagagli e affollamento di persone si può immaginare cosa diventavano dopo poche ore di viaggio.
Quelli che più spesso giungevano all’ultimo momento rischiando il posto in piedi, erano i militari.  Molti giovani di leva, che allora era obbligatoria, dovevano raggiungere le caserme del nord; in particolare , i più fortunati  in Lazio, altri meno ….Veneto, Friuli e Piemonte. Ricordo che alcuni aspettavano il fischio del capostazione per salire sul treno e sfruttare sino all’ultimo momento il tempo per stare insieme ai famigliari e alle fidanzate, faticosamente trascinate sul marciapiede.

Ma era, poi sul treno che si assisteva allo “spargimento”, in ogni singola carrozza, di ogni ben di Dio. Chi poteva cercava di portar via quante più cose della sua terra. Per giorni, prima della partenza, le madri e le mogli preparavano sughi, insaccavano salumi , condivano verdure e quant’altro, che poi richiudevano in barattoli e contenitori. Almeno per qualche giorno i loro cari avrebbero potuto ancora gustare i sapori e i ricordi della loro casa.

Ovviamente, la lunga attesa comportava anche il doversi equipaggiare per consumare qualcosa da mangiare. La cosa si risolveva quasi sempre aprendo grossi involucri di carta, quella color marrone, che si usava nei negozi, una volta, per incartare il pane e la pasta,(che allora veniva venduta anche sfusa), dai quali fuoriuscivano grosse fette di pane o grandi panini caserecci imbottiti all’inverosimile.
Ora, si, era davvero giunto il tempo dell’arrivederci: “Papà torna presto, Telefona, Non stancarti, Scrivi subito” Questi i messaggi che, con una nostalgia infinita, chi restava, lasciava a chi partiva e mentre il treno si allontanava e le donne, cercavano l’ultima carezza e l’ultimo bacio, attraverso il finestrino, con il loro caro, la stazione, lentamente, si svuotava e non restavano che i ricordi delle belle giornate di festa appena ….. forse troppo in fretta ……trascorse.

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1 commento

  1. Caro Dott. Giordano è stato impossibile leggere il suo articolo fino alla fine senza scoppiare in lacrime….i miei nonni erano tra quei viaggiatori emigranti al Nord, per la precisione Milano, per lavoro. Quanto ricordi riaffiorano e quanta nostalgia!

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