Non vi è alcun dubbio sulla maggioranza di antifascisti nel popolo cilentano, ma molto della cultura fascista, dovuta anche ad i numerosi interventi economici (come UFFN Famiglie Numerose) era insita nella popolazione del famoso “ventennio”. Il fascismo, di ispirazione sindacal-corporativa, combattentistica, socialista revisionista e organicista, raggiunse il potere nel 1922 con la Marcia su Roma e si costituì in dittatura nel 1925. Il fascismo descrive sé stesso come una terza via alternativa a capitalismo liberale e comunismo marxista, basata su una visione interclassista, corporativista e totalitaria dello Stato. Radicalmente e violentemente contrapposto al comunismo e pur riconoscendo la proprietà privata, il fascismo rifiuta infatti anche i principi della democrazia liberale.
Nacque contemporaneamente come reazione alla Rivoluzione Bolscevica del 1917 e alle lotte sindacali, operaie e bracciantili, culminate nel Biennio rosso in parte in polemica con la società liberal-democratica uscita lacerata dall’esperienza della prima guerra mondiale, unendo aspetti ideologici tipici dell’estrema destra (nazionalismo, militarismo, espansionismo, meritocrazia) con quelli dell’estrema sinistra (primato del lavoro, rivoluzione sociale e generazionale, sindacalismo rivoluzionario soreliano), inserendovi elementi ideali originali e non, quali l’aristocrazia dei lavoratori e dei combattenti, la concordia fra le classi (organicismo), il primato dei doveri dell’uomo sui diritti (originariamente concepito da Giuseppe Mazzini), e il principio gerarchico, portato al suo culmine dell’obbedienza cieca e pronta al capo di alcuni reparti d’assalto (Arditi) durante la grande guerra.
Il fascismo nel Cilento ebbe come sua collocazione primaria la cittadina di Agropoli, dove, i suoi dirigenti, in testa Attilio Pecora ed i suoi fratelli Edoardo ed Ignazio componevano l’allora direttorio. In breve tempo il “fascio” di Agropoli, sotto l’impulso dei fratelli Pecora, divenne un autorità importante soprattutto nell’arduo movimento di risanare e riformare la vita pubblica Cilentana, e come riportato dal gerarca di Salerno Avv. Adinolfi: <<assoggettata a poteri feudali di vecchio stampo usi al governo assoluto del proprio egoismo parassitario>> E difatti, al Pecora. venne ordinata dal Segretario Federale Avv. Adinolfi, la repressione dei cosiddetti “animi tumultuosi” in quella che era nella la piccola sezione presente nel Comune di Stella Cilento, dove, così si esprimeva il Segretario: <<…vi sono interessi di casta , urtantisi da un settantennio e che prostrano il popolo ingenuo e lo costringono all’equivoco…>>.
Ecco come il quotidiano “Roma”, il 10 Marzo 1923, a firma di un giovanissimo Aldo Meligeni (corrispondente da Sessa Cilento), riporta l’avvenimento:
<< Per dissidi sorti nella Sezione del Partito Nazionale Fascista di Stella Cilento, il Segretario politico Provinciale Avv. Adinolfi, delegò quivi il Sig. Pecora Attilio del fascio di Agropoli per procedere ad accurata inchiesta e adottare i provvedimenti del caso. Difatti il Sig. Pecora si recò al sopraluogo e resosi conto della difficile situazione di quel fascio e delle controversie esistenti nel paese tra famiglie e famiglie sin dal 1848, nonostante i vari tentativi di pacificazione fatti da autorevoli autorità politiche del Cilento, egli, con tutta la sua anima di ardente e valoroso fascista che nell’interesse del partito, profonde da moltissimo tempo tutta l’ardenza della sua giovanile energia, si accinge all’opera di riconciliazione, sicuro che i vecchi sentimenti di fervente patriottismo, avrebbero avuto fine.>>
Il corrispondente Aldo Meligeni (nella foto è il primo a sinistra), continua con il raccontare come il Pecora convocò, per il giorno dopo, la sua prima visita la “brava fanfara della coorte di Agropoli” oltre ad alcuni fascisti ex combattenti decorati , rigorosamente in camicia nera, provenienti da paesi limitrofi, per organizzare una manifestazione, cercandone di sedare gli animi. E per tanto, Il giorno seguente, di fronte alla popolazione di Stella Cilento e delle riunitasi frazioni Guarrazzano, San Giovanni e “Malafede” (oggi Amalafede), erano li schierati, le autorità, la fanfare ed i valorosi ex combattenti. Il giornalista continua: << Nella piazza gremita e palpitante sorse a parlare per primo il colonnello Raso e le sue parole di soldato suonò pace e perdono all’inno del Piave suonato dalla fanfara di Agropoli.
Al colonnello fece seguito l’insegnante Attilio Panuti, esponente dell’altro partito; anch’egli inneggiò al bisogno di pacificazione degli animi pel bene supremo della Patria e del fascismo. Tra la commossa ed unanime attenzione, parlò in ultimo il Sig. Pecora, che con parola colma di entusiasmo mise in rilievo la necessità di essere tutti uniti, forti come le nostre quercie, perché il Cilento mantenga sempre pure le belle doti di incorrotta Italianità in questi tempi che storia e sacrificio spingono all’emulazione per la riconquista di tutti i beni, ad uno ad uno, che altri tolsero al millenario patrimonio di Roma imperiale.>>. Lo stesso annunciò che avrebbe continuato nell’organizzare altre manifestazioni del genere, cercandone di sedare gli accenni di rivolta (lo definì Apostolato), difatti continuò, poi, nei territori di Casalicchio (Casal Velino) e Vallo Lucano (Vallo della Lucania). A Vallo fece erigere una lapide con su scritti i nomi dei morti per la patria.
La Cerimonia fu però disattesa dall’allora amministrazione Comunale che il Pecora definì: <<….un ‘amministrazione retta da un sindaco testardo e recalcitrante che non si conforma al programma dell’ambiente fascista rendendo la situazione grave e rendendo d’uopo che il fascismo dia spettacolo di disciplina ad ogni costo e che severi ordini vengano impartiti.>> . Insomma, i conti con questa parte della nostra storia sono complessi, ma raccontare i fatti resta importante La maggior parte di noi ha lasciato o lascerà solo un patrimonio di racconti familiari, ma anche quando gli ultimi, non ci saranno più, vorremmo che non fossero solo i nostri figli e i nipoti a coltivare i ricordi e a tramandare la memoria , ma che questa continuasse a vivere per il valore intrinseco di coesione e coraggio civile dimostrati dal popolo Cilentano nella lotta contro la dittatura nazifascista.
Fonte: Quotidiano “Roma” del 10 Marzo 1923