Peletròne: aggettivo sostantivato in uso nel dialetto cilentano. Si usa anche “pelletròne” o “pulletròne”.
Probabile che il suo omologo più prossimo nella lingua italiana sia il vocabolo”poltròne”.
Al pari dell’italiano, indica l’ozioso, lo sfaccendato, lo svogliato, e, più in particolare, colui che per scelta indugia a rimanere per un tempo spropositato nel suo letto o, per essere fedeli all’etimo del vocabolo, sulla “poltrona” o giaciglio che sia.
Una società prettamente contadina, dove il tempo da dedicare al lavoro dei campi imponeva doveri da attendere secondo un rigoroso calendario ed un orario scandito nell’arco della giornata, non poteva affatto essere priva di un vocabolo che descrivesse sinteticamente il comportamento di chi, invece, avesse voluto sottrarsi a questi doveri.
Trapiantata la parola in un contesto post-contadino, e in una società industriale laddove un maggior benessere ha contemplato margini di più ampio tempo libero, la parola “peletròne” è sopravvissuta per censurare proprio gli eccessi dell’ozio, dell’essere sfaccendato, e più precisamente la condotta materiale di rimanere a letto senza nutrire il benché minimo rimorso (“Uàrda llò, che peletròne, camìna, sùsate o te palèo”).
Nel dialetto cilentano, la parola “peletròne” si accompagna ad un giudizio morale negativo ed antropologico, residuo, forse, di un mondo rurale. Infatti, nella mentalità del cilentano, se anche ci fosse una giornata libera di vacanza completa (o di quarantena, come in questo periodo), ugualmente è visto in modo negativo il non alzarsi dal letto. Anche nella giornata di domenica, anche nelle vacanze, anche in tempo di quarantena, anche quando si è costretti a rimanere in casa per tutto il giorno, occorre comunque reagire alla tentazione di rimanere a letto.
Questo giacere è visto come debolezza, mollezza, cattiva abitudine, condotta svilente, poco virile. Anzi, nello sdegno con cui le madri redarguiscono i figli a sollevarsi dal letto di primo mattino, si legge una vaga superstizione come se si volesse scongiurare e mantenere lontano il pericolo che accada qualcosa di brutto che costringa per motivi di salute ad allettarsi davvero, o per scongiurare un futuro da disoccupati.
Sull’etimo si può percorrere la tesi più accreditata che lo fa derivare dal “poltro” che deve aver avuto il significato di “letto”, “giaciglio”. Ovviamente, occorrerebbe conoscere quali percorsi abbia potuto seguire la parola “peletròne” per essere usata nel dialetto cilentano giacchè è da dubitare che fosse diffuso l’uso della “poltrona” nell’arredamento contadino. Non si può escludere che il termine “peletròne” sia derivato dall’osservare l’abitudine dei signorotti nullafacenti che vivevano di rendita e non avevano bisogno di lavorare e che, quindi, preferivano rimanere tutto il giorno in “poltrona”, quella poltrona che, agli occhi del popolano, era invece simbolo dell’ozio dissoluto.