Il “mummuliamiènto” cilentano è un brontolare manifestato a mezza voce, nel quale spesso le parole non sono nemmeno comprensibili all’interlocutore al quale implicitamente siano dirette.
Con il “mummuliàre” la protesta sarebbe destinata a rimanere solo interiore, inespressa, detta tra sé e sé, ma che, invece, per intensità di rabbia, o per asprezza di conflitto, non si riesca a contenere, dando così luogo a mugugni disarticolati, di una sonorità tenuta sul filo dello sbottare e nella quale comunque si percepisce il dissenso (“Oh, io recìa a Nicola re zappà puro l’uòrto re Ntunètta visto ca se truàva, ma chiro s’è miso a mummulià”).
I mugugni, a volte anche cupi, possono consistere in una imprecazione semplice, una ingiuria, una bestemmia, o in un qualcosa che coinvolge i parenti dell’interlocutore che forse è meglio qui non riportare alla lettera.
Spesso si riscontra nei rapporti tra superiore a subordinato, laddove il rapporto di gerarchia suggerisce di mantenere il conflitto entro l’alveo istituzionale e non sfociare nella protesta plateale.
Non di rado è una forma di protesta che può essere anche programmata, voluta, ostentata, per ottenere un obiettivo (“Ogni bbòta ca pavàva ‘a jurnata a lu ualàno, chìro senne ià sembe mummuliànno, ma me lo putìa rice ca vulìa chiù assài!”)
Sull’etimo appare quasi certa la sua origine onomatopeica. Tuttavia, l’assonanza col sostantivo “mòmmola” o “mommolèdda”, ossia il recipiente di coccio utilizzato come contenitore per vino o acqua, e che si distingue per la sua forma gonfiata, parrebbe imitare il rigonfio delle gote in chi sia nell’atto di “mummuliàre”, oppure quel parlare dentro la mòmmola che, alterando la voce nel rimbombo, non fa intendere le parole che ne escono plasmate dentro un mugugno informe.