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Un’espressione tipica del Cilento

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‘U-bbi-pò’ – Locuzione del dialetto cilentano letteralmente traducibile con “lo vedi poi” usata nei discorsi diretti. In altri contesti si conosce la versione “mme’-ca-lo-bbì-pò”.
La pronuncia con l’accento marcato e repentino sulla “o” finale del “poi” tronco, fonde la locuzione in un unico e veloce lascito verbale che così esprime una più ampia carica espressiva e di sintesi.
Si pronuncia con una punta di esclamazione mista ad interrogazione.

Nello spettro di significati che racchiude se ne può enucleare uno che esprime all’interlocutore un biasimo, un leggero rimprovero, un invito a prendere atto, sull’istante, di un errore in cui l’altro sia caduto per non avere voluto ascoltare un saggio consiglio dato nel passato più o meno immediato.

In genere presuppone che tra due soggetti vi siano stati a monte un discorso particolare, uno scambio di esperienza, un consiglio dato su una condotta da tenere, un avvertimento, un avviso a stare in guardia, ma che poi l’interlocutore decida caparbiamente di non seguire facendo di testa sua, in barba ad ogni consiglio, cadendo così nell’errore. Quel “u-bbi-pò” è, in questo caso, il sintetico biasimo che virtualmente ed estensivamente si può modulare ed articolare così: “Lo vedi adesso tu stesso, con gli occhi tuoi, quello che, sulla scorta di quanto avevo già visto con gli occhi miei, t’avevo detto che sarebbe poi accaduto?”, oppure “Ti rendi conto, lo vedi, ora, in questo istante, apri gli occhi, amico!”.

E’, un poco, l’espressione cilentana del “senno di poi”. Quando, ad esempio, il genitore consiglia alla figlia di partire per tempo per andare alla stazione a prendere il treno, ma quella risponde che si scoccia di trovarsi in stazione alle sei del mattino per prendere il treno delle sette e mezza, e poi gli telefona dicendo di venirla a prendere con la macchina che ha perso il treno, il genitore sigla il tutto con l’esclamazione-interrogazione: “U-bbì-pò?”.
In un altro contesto, contiguo al primo, l’ “u-bbi-pò””comunica all’interlocutore che in quel momento non sta mantenendo una promessa data. Ad esempio, quando il nipotino promette alla nonna che non avrebbe sporcato il vestito della festa e quello torna a casa insozzato per essersi fermato a giocare a pallone nel fango della piazza, la nonna lo rimprovera con un bonario “U-bbi-pò?”.

Se invece la stessa raccomandazione viene dal genitore, allora il problema del biasimo, leggero o severo che sia, non si pone nemmeno in quanto parte immediatamente un sonoro scapaccione.
Nella maggior parte, si usa in un contesto bonario, nell’amicizia che continua, anche se non si può escludere un suo uso rabbioso che induca a ripeterlo di fila più volte accompagnato con uno sbattere di pugni sul tavolo specie nei casi in cui l’errore si profili come perseveranza.

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