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Il “lè-llè” nel dialetto del Cilento

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Lè-llè, locuzione del dialetto cilentano non assimilabile ad altre espressioni in lingua. Letteralmente corrisponde ad una forma contratta dell’imperativo, seconda persona singolare, del verbo “levare” ripetuta due volte in senso rafforzativo.
Nel suo corpo sonoro, brevissimo, e proprio nella sua contrazione, che la rendono locuzione pronunciabile in modo fulmineo, si nascondono un’espressione energica e reattiva di critica, la forza di un giudizio troncante, netto, risoluto, che non ammette repliche e nemmeno un possibile contraddittorio che possa condurre ad un ripensamento (“Oh, m’a ddìtto Nicòla si re rào in affitto ‘a càsa ca tèngo ‘n campagna, cchè ne piènsi”, se la risposta è “le-llè” il consiglio è di quelli negativi che non ammettono repliche, un modo per dire “tienitene alla larga”).

Con il “lè-llè” il Cilentano scioglie, liquida, risolve una proposta nel giro di un attimo, facendo presagire che in quel giudizio ci sia la sintesi di una elaborazione più che ponderata, sperimentata, motivabile, o maturata sulla scorta di una esperienza personale o di informazioni altrimenti assunte e che si ripresentano tutte d’un colpo, tanto da generare un “le-llè” pronunciato d’istinto.
La perifrasi ricorre anche in contesti colloquiali e conversazioni in cui si esprimano opinioni fini a sè stesse, senza un intento pratico che sottenda una scelta.

Può ricorrere in contesto di questo tipo: “Oh, a sapùto?, pùro ‘u prussòre ‘a bbutàto lèga, ca recìa sèmbe ca èrano mariuòli!”; oppure “Oh, sa na còsa, chìro a bbutàto cingostèlle pecchè chiràti avìano fàtto l’accòrdo ccù silvio, ma lòro cu cchi l’àno fàtto u pàtto mòne?”, oppure “sapìssi quanta ne recìa contro i cumunìsti, e pensa ca piglia ‘a reversibilità, tre pensiùni, accompagnamènto r’a nònna, tùtte còse ca si nunn’era ppè cchìri cumunisti!”, oppure “nge l’avìa ccu’ piddì, ma quànno re addimmannàva qual èra ‘na lègge, ma una, ca nu’ re piacìa fatta ra ‘u piddì, te pàre ca me sapìa respònne!”: e se la risposta è un pronto “le-llè” il giudizio è di quelli salomonici con cui sommariamente si cela, con le due sillabe, un discorso a monte che sarebbe stato molto più lungo e che per il momento è meglio non affrontare.

In questo contesto, dunque, con il “le-llè” il Cilentano sintetizza una rinuncia all’analisi argomentata, non di rado associata ad uno scoramento e a una delusione, un modo per dire in breve “che ne parliamo a fare”, oppure “senti, amico, parliamo d’altro”, oppure “cancelliamo tutto, per favore che non ho voglia di parlarne”, magari pronunciato guardando in tralice l’interlocutore e volgendo il capo d’improvviso nella parte opposta in un gesto di scrollo da fastidio.

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