“Squasi”, sostantivo dialettale cilentano che non sembra avere omologhi nella lingua italiana e per questo intraducibile. Nell’uso si associa al verbo “fare”, per indicare – appunto – il comportamento di chi “fa” squasi.
Si usa anche come aggettivo nella forma “squasuso”. Dopo una breve indagine azzardo una descrizione del suo significato. , cerimoniosa, con finalità persuasiva o anche vagamente seduttiva o di “captatio benevolentiae”, caratterizzato da moine o alterazioni anche nella voce oltre che nei gesti.
“Face squasi” o “face u squasuso”, ad esempio, colui che corteggia noncurante di una forma o rinunciando al linguaggio abituale, o il bambino che fa moine o simula lamenti per ottenere dal genitore un dolce o il permesso di giocare o che vorrebbe quasi farsi commiserare nella speranza di una solidarietà o di una simpatia.
Più genericamente sembra indicare l’atteggiamento di chi si “scioglie” mostrandosi fanciullesco o languido, in una sorta di “liquefazione” di ciò che in altre circostanze imporrebbe l’uso di forme o di protocolli di conversazione.
La parola ricorre anche in altri dialetti italiani, ma con significati diversi da quello con cui è usato nel Cilento. Incerto è l’etimo.