“Viétta“, avverbio di tempo del dialetto cilentano che sta per “presto”, “spedito”, “di buon’ora”. La parola pare avere ancora una sua resistenza nell’uso parlato, anche se maggiormente tra persone anziane.
“Viètta” indica un’ora indefinita del giorno che comunque si pone in anticipo rispetto alla norma o all’abitudine.
Questo tempo della giornata sarebbe collocabile piuttosto in un’ora mattutina, la più idonea per il disbrigo di un impegno secondo la scansione del tempo che mutua dal lavoro dei campi anche la sequenza delle altre incombenze del quotidiano, non di rado collocabili persino all’alba: “m’aggia aizà viétta crammatino ppé piglià u treno a la stazione r’Umignano”; “nnè sìmo scetàti viétta ppé ffà le buttìglie”, “meno male ca è bbenùto viétta, accussì àma finito prima”. Il termine parrebbe contenere anche una venatura di “veloce” e di “spedito”: “vièni viétta, ch’àra ì a piglià i merecìne a nonna”.
Chi usi questo termine nei confronti di un interlocutore con il quale abbia fissato un appuntamento per una certa ora, si raccomanda puntualità nell’osservanza dell’orario concordato (“musèra nnè verìmo a l’otto, vieni viétta”), in modo da prevenire quell’abitudine di estendere oltremodo il margine di tollerabilità rispetto ad un orario già prestabilito concordemente, ed evitare quella abitudine – tutta meridionale in verità – per cui un evento o un incontro o un appuntamento fissati, ad esempio, per le otto, finiscono sempre per scivolare verso le otto e mezzo, quando va bene (in questo limitato senso, “viétta” starebbe per “puntuale”).
In “Studi linguistici sulla Lucania e sul Cilento”, il glottologo tedesco Gerhard Rohlfs analizza, tra gli altri, anche questo vocabolo. Lo studioso rilevava anche l’uso del termine “viètto” nel quale riscontrava una base latina facendolo derivare da “vectus”, assumendo in tal caso il significato di “portato” . Nello stesso saggio di Rohlfs si rileva anche l’uso della forma “aviètta .