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“Ngappammòcca”, l’analisi dell’Accademia della Vrenna

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“Ngappammòcca”, sostantivo ed aggettivo maschile – sia singolare che plurale – del dialetto cilentano, traducibile in italiano con “credulone” ed usato in senso dispregiativo. (Frasi tipiche sono: “ma nu’ bbìri ca te ‘mbròglia … stù ngappammòcca”; “chèro ca re rìce a muglière chèro fàce chiràto ngappammòcca ca nu’ bbère mango le ccorna ca tène”; “chìro cuntàva palle, e chiràto stìa a sènte come ‘nu ngappammòcca”).



Indica la persona incline a prendere per vere circostanze riferitegli da altri: o con intenti semplicemente canzonatori (dando luogo in tal caso ad un semplice dileggio), o anche con finalità fraudolente (per porre in essere un artificio onde ottenerne profitto o utilità) o di giustificazione di condotte altrimenti dispiacevoli.

Rappresenta, quindi, la persona con una propensione alla acritica accettazione sulla versione di fatti e sulla ricostruzione di rapporti tra persone, suscettibile di reazioni inconsulte o di rovinare amicizie o di ingenerare equivoci.



Non di rado l’uso del termine viene accompagnato con il gesto di unire i polpastrelli delle dita al pollice portarseli per due volte verso la bocca a simulare un imboccare o un bere (e non è un caso che in italiano il termine possa essere reso con il verbo “bèrsela” o “non bèrsela”, ossia “crederci” o “non crederci”).

Chi lo usa pare mettere un accento critico anche nei confronti del propinatore, di colui che ha odorato la facile suscettibilità dello “ngappammòcca” ed è capace per questo di dirigerne le reazioni.

La parola nasconde anche una sottile e malcelata inclinazione del “ngappammòcca” a farsi intenzionalmente abbindolare a causa di un debole sentimentale o per assecondare capricci altrui dovuti a cecità da passione. In alcuni contesti può indicare anche una condizione di spaesato o di attesa (“ddà stìa c’aspettava fòre a la posta come ‘nu ‘ngappammòcca” ca nu’ bbirìa ca era chiusa”).

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