E’ di queste ore, l’arrivo a conclusioni indagini per una inchiesta della Procura di Vallo Della Lucania su appalti a cooperative nel comune di Casal Velino di cui l’attuale Sindaco Silvia Pisapia, da oggi, viene sottoposta a misura cautelare del divieto di dimora. Sono certo che saprà dimostrare – non ho alcun dubbio su questo – la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati e sono sicuro che l’impegno per il suo Comune continuerà senza sosta anche durante questa complicata parentesi.
Pisapia, negli anni, ha dimostrato in più d’una occasione il suo smisurato dovere civico. Trovo assurdo che in un Paese occidentale e democratico come l’Italia un sindaco possa rischiare in merito ad un “codice” per gli appalti che a volte risulta farraginoso ed incomprensibile.
L’inchiesta è stata diretta dal procuratore di Vallo della Lucania Antonio Ricci e dal sostituto Vincenzo Palumbo. Nei guai sono finiti amministratori comunali, funzionari ed imprenditori. Le indagini sono state portate a termine, dal 2015 al 2018, dai carabinieri della stazione di Acquavella comandati dal maresciallo Domenico Castiello e coordinati all’epoca dei fatti dal capitano Mennato Malgieri, comandante della compagnia di Vallo della Lucania.
Sotto la lente degli inquirenti l’affidamento dei servizi portuali, della raccolta dei rifiuti, dei servizi di manutenzione e delle mense scolastiche. Ma anche una concessione edilizia illegittima per la casa del marito del sindaco in zona agricola e una mega truffa alla Regione per l’ottenimento di finanziamenti per le aree pip. Tra gli indagati anche l’ex sindaco Domenico Giordano (attuale vicesindaco), l’ex presidente del Consac Luigi Rispoli e il responsabile della polizia municipale Giuseppe Schiavo.
A questo punto credo che di dubbi non possano essercene molti: l’incarico più difficile in cui si possa inciampare è quello di sindaco.
Per sostenerlo non c’è bisogno di attingere ai più abusati luoghi comuni sul carattere degli italiani, che, da sempre, sarebbero riottosi a sintonizzarsi, davanti ai problemi collettivi, sull’accettazione di un minimo comun denominatore, ovvero di regole basilari, evidenti e necessarie al bene comune. Accettazione tanto più problematica quanto più dovrebbe essere fatta osservare non da poteri lontani, dispiegati da chissà quali autorità e istituzioni, ma da rappresentanti espressi dalla propria comunità di appartenenza.
Essere primi cittadini, di questi tempi, è ben più difficile che nei decenni trascorsi.
E non solo perché, “governare gli italiani non è difficile, è inutile”, come sostiene un discutibile luogo comune attribuito, di volta in volta, a Mussolini, a Giolitti, e ad altri presidenti del consiglio che si sono succeduti dall’unificazione nazionale ad oggi.
Il problema è che la complessità del mondo, e dunque dei problemi che le nuove realtà sociali e umane del globo pongono, si è fatta sempre più fitta e interdipendente.
Basta scorrere le cronache locali di qualsiasi giornale e, ogni giorno, si è davanti al racconto di qualche criticità, di nuove problematicità ed emergenze che, alla fine, bussano alla porta del singolo Comune e, dunque, del primo cittadino che lo rappresenta.
Certo, il sindaco non è solo nell’affrontare queste sfide quotidiane.
Però, in attesa che le varie istituzioni sovrastanti dispongano ed operino e, soprattutto, individuino in maniera precisa e definitiva la soluzione più adatta al problema che bussa alla porta, il più delle volte, spetta al sindaco, rispondere. Compito, il suo, tutt’altro che semplice alla luce dei tagli sui bilanci. Ma, soprattutto, davanti al fatto che nel nostro Paese, ogni giorno, 21 pagine di nuovi provvedimenti normativi si aggiungono alle centinaia di migliaia già esistenti. Il che delinea un enorme arcipelago di sovrapposizioni e competenze dove si smarrisce anche il più esperto dei pubblici amministratori.