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C’è ancora vita nei borghi dimenticati del Cilento

E’ un sabato mattina assolato di una finta primavera, sono a caccia di storie da raccontare, perlustro con lo sguardo i dintorni della provinciale che mi conduce verso il mare. La strada è un continuo tratteggio alle pendici del Monte della Stella. Il Cilento ha un odore e un sapore tutto suo, in ogni angolo ha qualcosa da offrire di gustoso al suo visitatore, dagli aromi frizzanti del vino fino al profumo prezioso dei funghi, degli asparagi, della pasta fatta in casa, i dolci nasprati ecc. La buona cucina qui è di casa con prodotti genuini, unici e invidiati in tutto il mondo. La protagonista è soprattutto la tradizione con la quale grazie al lavoro della sua gente è possibile assaporare le squisitezze del passato. Non solo i prodotti tradizionali ma anche i mestieri del passato, che con attrezzi e utensili, racconta la storia della civiltà dei cilentani di un tempo.

Storie del secolo scorso che a raccontarle non ci si crede. Abituati come siamo nel seguire, giustamente, i prodotti consumistici dell’era moderna dimentichiamo spesso quali erano le cose che “ci facevano stare bene”. Ci sono paesi che ti prendono tra le loro braccia di pietra e sassi, e ti danno il proprio calore accumulato in anni ed anni di sole, di venti morbidi, di carezze lievi fatte da mani ruvide e gentili, di aliti di contadini affaticati ed ansanti per la fatica del giorno.
Le stradine acciottolate, vecchie di secoli ma “lustrate” da poco, consunte dall’uso, lisce come sassi di fiume, ti invitano a percorrere sentieri stretti, tra le case sporte come a guardare sotto di loro, che portano a luoghi dimenticati, a piazzette che si aprono improvvisamente come scenografie di un teatro.
Le volte oscure dei passaggi sono buchi neri aperti sulle facciate di alti palazzi che, illuminati dalla luce del tramonto, guardano le valli lontane, nebbiose e indistinte, con occhi malinconici, persi nei pensieri.

Cippi e targhe in bianca pietra e statue e fontane si offrono a chi vaga tra vie e piazze silenziose, ricordano anni e tempi incomprensibili eppure così simili ai nostri perché tra noi e le genti che hanno una volta lì vissuto ed amato e lavorato non ci sono poi tante differenze, dopo tutto. Noi siamo loro e loro sono noi.
Ci sono paesi ove le chiese guardano le entrate e le uscite, ricordando a tutti che siamo piccoli, deboli, indifesi nonostante la spocchia e l’arroganza che gettiamo a piene mani intorno a noi, in ogni momento. Come inespressivi guardiani, talvolta basse e solide, talaltra mostrando guglie affilate e grandi specchi di vetro colorato, paiono grosse navi di granito, galleggianti su acque marmoree, che sembrano stare lì da sempre per dare rifugio ed accoglienza ad una umanità che cerca un appiglio, per salvarsi dall’annegamento.
Ci sono paesi in cui girando una curva, sentiamo un respiro diverso ed uno scorcio si apre d’un tratto davanti a noi, campi, colline, minuscole stradine polverose si offrono allo sguardo tra antichi edifici in bilico su strapiombi dal fondo dei quali il tumulto dei torrenti risale le pareti ricoperte di felci e muschi fino alle terrazze, sospese quasi per miracolo su quegli abissi.

E poi la gente ……. i paesi ce le mostrano. Si aggirano nei vicoli che si aprono sugli orti ed ai frutteti, sotto gli archi che nascondono vecchi lavatoi di paese ove le donne si arrossavano le mani callose strofinando saponi e cenere su lenzuola e federe e camiciotti di panno, parlando di tutto e ridendo di niente. Oppure vanno lungo le salite arrancando su grossi scarponi, zappe e rastrelli gettati sulle spalle ossute, gli occhi azzurri e profondi che a guardarli ti portano indietro e ti raccontano di altre fatiche, altri sudori, di gialle albe e rossi tramonti vissuti con rassegnazione e coraggio, giorno dopo giorno.
Ed i cestai che intrecciano giunchi e steli e paglie in eleganti spirali che vanno a chiudersi in alto con un’ ultima sapiente torsione di mani indurite dal lavoro.
Ed ancora i bottai che nelle botteghe battono il metallo sulle assi di legno, il loro cuore che accompagna il ritmo del martello.
Ci sono borghi del cosiddetto Cilento antico che hanno questo ed altro ancora, non si può narrare tutto perché c’è troppo da raccontare anche in un paese da niente, abbandonato su un colle.
Ma questi piccoli gioielli, ti prendono, ti ammaliano, ti fanno star bene, tu che venga da città o paesi/città limitrofi, dove sei invisibile agli altri e gli altri ti sono invisibili a te, dove il sole non sorge e non tramonta e la luna sembra un oggetto inutile perché lo sguardo basso delle persone scava tracce profonde nell’asfalto delle strade e non vede le stelle. Ci sono paesi in cui vivi, respiri, sogni, immagini, aspetti i prossimi istanti che saranno più belli dei precedenti e meno di quelli che seguiranno, e tu li attendi come i bambini attendono i regali che arriveranno in un giorno di festa, uno più bello dell’altro.

Lì puoi ascoltare una canzone che risuona dolcemente nei vicoli e nelle cantonate, lì puoi gustare il sapore delle pietre, dei campi, delle genti, lì puoi percepire lo spirito del luogo che accompagna e protegge i pellegrini giunti nei tanti santuari presenti, in cerca di una risposta, alla fine di un percorso iniziato ieri ma che li vede in viaggio da sempre.
Ci sono paesi che ti fanno capire che sei arrivato al termine della tua lunga ricerca e che è tempo di fermarsi. Ecco perché questo sarà un anno in cui bisogna osare per non sparire. Dicono che si impara sempre dai dolori o dalle sconfitte e questo è l’anno per osare. Osare significa cercare di vendere in qualsiasi periodo dell’anno, (covid permettendo) “il prodotto” del nostro territorio, sfruttando le bellezze naturali e storiche dei nostri borghi e dei villaggi al mare, del noleggio delle barche, degli agriturismi , dei casali stupendi del Cilento del Vallo di Diano e degli Alburni e delle incantevoli montagne, tutte indiscutibilmente, che ammantano il territorio. I borghi cilentani, sono pezzi di storia incastonati tra le valli dei nostri territori. Purtroppo da molti anni e sempre di più subiscono il fenomeno dello spopolamento. La gente si sposta in città e lascia questi incantevoli paesini al loro destino: diventare dei fantasmi. Quando un borgo fantasma rinasce, però, succede qualcosa di magico. In essi si vive a misura d’uomo, ma l’altro lato della medaglia mostra disagi legati alla marginalità di servizi pubblici e sanitari, incapacità di intercettare opportunità economiche e di sviluppo istituzionale e sociale.

Spesso nel silenzio dei paesi predomina la quiete del lasciar vivere, il conformismo dell’adeguarsi a un contesto sociale e produttivo sempre uguale a se stesso, facilitato dal naturale “effetto palcoscenico” garantito dai piccoli spazi, in cui nel poco emerge chi sgomita di più, chi urla più forte, chi è semplicemente il più furbo, rispetto all’inazione della maggioranza. Nemmeno il refrain dell’isola felice risulta valido: fenomeni illegali, atti di corruzione e associazioni a delinquere si verificano ovunque, anche nei piccoli borghi, facilitati dal silenzio di una zona grigia fatta di connivenza e di convenzioni sociali perverse. La geografia puntiforme dei piccoli borghi non favorisce la sintesi intorno a temi e problemi comuni, causando l’impossibilità di avere quella massa critica fondamentale per entrare nella scena del dibattito pubblico.
I piccoli paesi, sono l’anima della nostra Nazione, parte integrante della nostra identità, dove si mantengono vive le tradizioni più antiche e dove il idioma è strumento che rende immortale la storia del luogo. Fermare lo spopolamento e creare nuovi paradigmi per riportare vita a quelle terre che sembrano aver perso significato e prospettive, significa creare opportunità di vivere in maniera più sostenibile e “umana”. È nella piccola dimensione, infatti, che la vita si muove ad un ritmo più lento, legata ancora alla natura e al calore delle semplici cose.

Ma una parte da “primo attore” dovrebbe averla la politica. Difatti nella programmazione europea 2021-2027 ci sarebbero in ballo per l’Italia circa tre miliardi di euro per finanziare il fondo europeo di sviluppo regionale. Un “tesoretto” che sicuramente farà gola alle diverse formazioni politiche ai vertici del Paese, che provocherà sicuramente altre voci autorevoli a spendersi per rilanciare il tema del riequilibrio delle aree interne, con la finalità di distribuire le ingenti risorse disponibili.
Ma in tutto questo quadro dominano la frammentazione e spesso il silenzio di piccole comunità lasciate al loro destino, con chi vive ogni giorno la quotidianità di un piccolo borgo che spesso non riesce a far sentire la propria voce al livello decisorio delle politiche pubbliche e rischia di rimanere fuori da ogni opportunità di sviluppo.

La foto di copertina è la piazza di Omignano Capoluogo con la Chiesa di San Nicola

© Diritti Riservati

Alessandro Giordano
Alessandro Giordano
Dal Marzo 2015 racconto la nostra terra, il Cilento, mostrandola con gli occhi di chi la ama, la vive e vuole contribuire a farla apprezzare di più ai turisti e ai Cilentani stessi. La Storia, i Personaggi, la Cultura, le Tradizioni e le Contraddizioni, il patrimonio artistico, gli eventi e le iniziative in programma che ritengo più interessanti segnalare, i musei, le attrazioni e le proposte per i turisti, il cibo ed i prodotti del territorio sono i temi principali dei miei articoli.

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