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Quando il cilentano “Muscèja”

Muscijàre: verbo del dialetto cilentano (usato più nella forma tronca all’infinito “muscijà”).
Non si riscontra una parola traducibile perfettamente in italiano con il medesimo ed univoco significato.
Sul termine occorre fare una distinzione per non incorrere in equivoci. In dialetto si utilizza sia il termine “ammuscià” che “muscijà”.

“Ammoscià” è verbo transitivo e indica un’azione umana traducibile come uno scocciare, un fiaccare, un insistere verso l’interlocutore con atti o parole moleste o impertinenti che impegnano oltremodo la capacità di sopportazione o di tolleranza. L’interlocutore che se ne senta investito adopera questo termine con senso di fastidio percepito con progressione che, oltre una certa soglia, induce a sbottare in un intrattenuto invito a smettere rivolto all’interlocutore (es.: “… sièndi … n’ammuscià cchiù ccu ‘stu uozzàppe”).

“Muscijàre”, invece, è verbo intransitivo, ed ha una sua sfumatura di significato. Più che un’azione, indica uno stato d’animo improntato a ritardare un impegno, un’incombenza, un obbligo, non tanto per svogliatezza o per ozio, ma piuttosto per insufficienza di motivazioni adeguate che emergono anche in modo inconsapevole. “Muscèja” colui chi dovrebbe fare una cosa, ma non ne è abbastanza convinto e per questo si dimena in un’azione diplomatica che richiama ostacoli più o meno immaginari, o altre scuse di vario genere. Sarebbe un tergiversare o un continuo titubare.

Il dialetto conosce in questo contesto anche l’altra espressione “purtà à la lònga”.
Non di rado questa indisposizione si manifesta in modo spontaneo con gesti, con smorfie, con movimenti del capo, distorsioni di labbra, mugugni secchi, che esprimono spesso più di quanto possano dire le parole (es. “Ma si chìro muscijàva tanto ppè se ‘nsurà, ca la zòria se ‘nne truào n’ato e ‘u mannào a f…….”)

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