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Un verbo tutto Cilentano

“Cugnulà”, verbo del dialetto cilentano, qui all’infinito, che non ha un corrispondente univoco nella lingua italiana.
Conosce anche un suo contrario: “scagnulà” o “scagnulàre”.
Si conoscono anche altre varianti nel dialetto, come, ad esempio, “ngugnulà'”.
Esprime un’azione complessa ed articolata finalizzata ad un’opera sia materiale che dell’ingegno. In senso materiale indica un assemblaggio di precisione (“àggio cugnulàto nu scannetièddo ca s’era tutto scagnulàto”).




In senso immateriale, evidenzia nel suo significato un lavoro, un travaglio, un’attenzione, una cura nella composizione di qualcosa, un disegno o progetto che sia. Il “cugnulàre” immateriale e figurato, è una serie coordinata di azioni che richiedono abilità, diplomazia, costanza, persuasione, nonché l’investimento d’intelletto. Quando è usato in senso metaforico, il “cugnulamiènto”, in sostanza, consiste nel trionfo di una sintesi, specie in quei contesti dove sia stato necessario smussare contrasti, operare ritocchi, limare, aggiustare, convincere qualcuno, organizzare, assemblare, e così poco a poco generare una soluzione. Il “cugnulàre” intellettuale è l’atto conclusivo di un iter sofferto e laborioso, e che, di massima, si offre ad un giudizio, ad una valutazione, ad un riscontro, ad una critica.
Il “cugnulàre” può essere sia individuale che collettivo. Frasi tipiche: “A la fine, me ricòrdo, pùro la cugnulài ‘a traccia re ‘u tèma r’italiano a l’esame ca ienchiètti quàtto pàgine re fogli protocòllo” (in questo caso di tratta di un “cognulàre” individuale); oppure “Oh, sa’ ‘na còsa: tre scauzacàni, dùi scièmi, nu mangiaedduòrmi, nu tòmmaro, e ‘ano cugnulàto a lista, pover’a nnùi!”, oppure “L’àmo cugnulàta la lista ppe’ l’eleziuni a la fine” , oppure: “Tanto facèmmo, ca puro la cugnulàmmo ‘na squadra ppe’ fa’ la terza categoria” (“cognulàre” collettivo).



Nella descrizione del significato può aiutare un’analisi dell’etimologia del verbo che può contribuire ad evidenziare un contenuto più preciso e circoscritto e rilevare come da un nucleo originario ristretto (riportabile al latino “cuneus”) la parola abbia esteso la sua portata descrittiva e di metafora. Ad esempio, in un vecchio “Dittionario” Italiano-Francese del Veneroni del 1689 si riportava proprio la parola “cugnolare”.

Ciò dimostra come sia un verbo arcaico, contemplato un tempo nei vocabolari in lingua e non più riportato nei vocabolari moderni, almeno in questa forma. Ebbene, nel citato dizionario antico il verbo italiano “cognulare” era tradotto in francese con “marquer le monnoye”, ossia “marcare moneta”. In altre parole il “cognulàre” indicava in sostanza anche un “coniare”, ossia l’azione di imprimere con uno stampo (o punzone o “cùneo” o “conio”) un’immagine o effigie su un metallo duro.

Questa operazione di conio richiede una forza plasmatrice eccezionale, comunque creativa e capace per questo di conferire all’oggetto solido, metallico, un valore di invenzione, di nuova creazione su un materiale altrimenti informe. In quel “coniare”, per esteso, è compreso e racchiuso anche il significato di “cognulàre” come azione finalizzata ad imprimere, cesellare, plasmare con particolare vigore su una materia solida e, per esteso, anche su un contesto umano e sociale laddove ugualmente si profilano resistenze, conflitti, contrasti virtualmente componibili, però, in una unità creativa di sintesi.



Spesso le parole non abbandonano una sfumatura di significato che pure abbiano avuto in passato. Infatti, nello spettro di significati legati al “coniare” c’è anche quello (ora non più in uso) di “ingannare”, “frodare”. Ebbene, anche nel nostro “cugnulare” si può nascondere un’azione finale perseguita sì con vigore, ma che può mantenere nel suo seno un artificio o un inganno qualora il “cugnolamiènto” fosse il risultato di una forzatura e per questo dar luogo ad una soluzione fallace, solo apparente.

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