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venerdì, 29 Marzo 2024
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Un verbo del dialetto Cilentano

Verbo del dialetto cilentano, in uso anche nel napoletano, traducibile in italiano con “riuscire” o “fare la scelta giusta” o anche “indovinare”.  Il verbo ingloba una componente di sorte, di fortuna, di imprevedibilità con le quali una scelta, una decisione, un’azione, pur sagge e ponderate, attendono di essere sottoposte ad un giudizio intorno ad un esito, ad un approdo, ad una conclusione.

Più propriamente indica la condotta di chi abbia ottenuto un risultato al di là delle aspettative, più o meno consapevolmente fiutato, più volte scaturito piuttosto da un incrocio di eventi o di casualità favorevoli che determinano un imprevisto beneficio che può prescindere dalle abilità o capacità individuali. Su un versante più strettamente sociale ed economico, il verbo sancisce il risultato favorevole di una iniziativa lavorativa, commerciale o d’azienda o di altro fare che si rivolga ad un mercato, ad una domanda e ad una offerta: “Ma tu sai come se facétte i soldi? La ‘ngarrào ca s’accattào ppe’ quatto soldi nu pièzzo re tèrra vicino màri sùbbito roppo la uerra, quànno chère tèrre te le ghittàvano apprièsso, e chiàno chiàno ‘nge custruètte ‘ngòppa”.

In un significato più legato al quotidiano o ad una condizione dell’individuo, può indicare uno stato di benessere o, con la negativa, di malessere: “òi aggiò ‘ngarrato a fà ‘na pasta e fasùli ca era ‘na fine re mùnno”, oppure “musèra m’ana pigliato a’ l’uocchio ca nu ‘ngarro a fà niendi”, “tengo nu màle re capo capo ca nu ‘ngàrro mànco a llègge”.

Nella sfaccettature dei suoi significati si può enucleare anche un senso di capacità o meno di un individuo di attendere ad un incarico o a un mestiere o professione: “Nè cumpà, ma chìro mièrico ca me recìsti ca èra capàce .. sà che te rico, ca nu’ nge ngàrra propio!”.

Nel dialetto cilentano, che in molti termini contiene riflessi di destino e di caso, l’uso diffuso del verbo “ngàrrà” può derivare anche dall’incertezza che assume il viaggio oltre lo spazio del paese o del villaggio, quello conosciuto e familiare. Un viaggio oltre lo spazio familiare del borgo era un’avventura che richiedeva un affidamento alla fortuna: “Pòvero cumpa Pèppo, a pigliàto u treno a la staziòne r’Umignano stammatìna ppè gghì a Napùli a prima vòta in vita sua, chi sà se ‘nge ngàrra ra sùlo a ghì a truà a lu ziàno, e chi sàpe se ‘nge ngàrra a turnà!”.

Il verbo, secondo alcuni, deriva dal latino “incarràre” adoperato per indicare il percorso del carro che riesce ad incanalare le ruote nei solchi sulla strada e così procedere più veloce trovando dinanzi a sè un percorso simile a rotaie. Il contrario di “ngarràre” sarebbe, quindi, “sgarràre” ossia prendere la strada sbagliata, quella meno veloce e meno conveniente.

Altri inseriscono questo verbo tra gli arabismi presenti nel dialetto cilentano.

Anche nello spagnolo esiste il verbo “engarràr” composto dal prefisso “en” e “garra” ossia artiglio e, quindi, col significato di “acciuffare”, “colpire nel segno”, “imbroccare”.

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